lunedì 1 novembre 2010

Trentatrentunouno

Il fatto è che quando sto bene (voglio dire, mediamente bene, senza troppe rogne e cose del genere) non sono ispirata di scrivere. Quindi non passo neanche di qui. Per fortuna, i blogghi non fanno la polvere e quando li riprendi in mano è di nuovo tutto come prima.

Riassunto delle puntate precedenti:

30/31 ottobre: beware of the (empty) pumpkins

Io (vampira), Ele (piratessa),
Giulia (fantasma dell'ottocento), Beatrice (non si sa)
© Marco

Sabato 30 abbiamo fatto la festa di halloween del kemma. Gradito il costume, premiato quello più spaventoso. Alla fine, una mezza schifezza. Lo standard di divertimento dei bambini di 10-13 anni è il seguente: casinocasinocasino, patate fritte e cocacola. Stop. Puoi cercare di coinvolgerli in tutti i modi, ma la verità è che non funziona. Se poi ci aggiungiamo che anche i grandi non combinano niente di buono, io posso anche correre avanti e indietro col mio mantello frusciante ma non serve a niente. Non serve, e alla fine del pomeriggio sei talmente amareggiato e stanco che te la prendi anche con chi non ha fatto niente, vorresti solo perderti in un abbraccio e dimenticarti tutto, pulirti la faccia dalla palata di bianco che ti sei messa per essere più rediviva e farti dare un bacio, essere felice e basta.

1 novembre: tutti i santi
Tutti i santi vuol dire processione in cimitero. Come ci ripete sempre Don Bepi, “cimitero” è una parola greca che significa “dormitorio comune”. Non ho paura dei cimiteri, come in genere la maggioranza della gente che conosco. I morti non vengono di sicuro su dalle tombe, a meno che non sia un film di zombie, o che non sia halloween.
Ma io oggi non volevo andarci. A parte il fatto che pioveva, e in genere Don Bepi è ragionevole e con la pioggia non si processiona (ma oggi sì), io sapevo già che mi avrebbe fatto male. Io lo sapevo. Lo sapevo. Perché finché eravamo in chiesa a cantare le solite quattro canzoni a cappella, sarei stata lì anche tutto il pomeriggio, ma quando siamo usciti, quando hanno iniziato a cantare quella dannata canzone “io credo, risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore” dentro di me si è rotto qualcosa e ho iniziato a piangere. E io lo sapevo.
E davanti alla tomba di mia nonna, non ho potuto fare altro che piangere ancora. E poi  è arrivata quella deficiente di mia cugina (perché ad una persona del genere non si può dire altro) che ha almeno 45 anni e, come se fosse la cosa più normale del mondo mi ha chiesto se stavo male che avevo tutti gli occhi rossi. In quel momento mi sono rimessa a piangere, lontano da lei. Perché il fatto è che se tu e quella scema di tua madre non avete versato una lacrima che fosse una quando è morta mia nonna (rispettivamente sua nonna e sua madre), non vuol dire che anche gli altri non lo facciano. Io non so quanto ho pianto. Io non ho fatto altro che piangere, tutta la sera, tutto il funerale, tutto il tempo al cimitero e tornando a casa. E oggi. Oggi, quelle canzoni.
« Forse noi non abbiamo il diritto di piangere come stiamo facendo, perché così facendo ci dimostriamo solo egoisti, facciamo vedere al mondo che non ci rassegniamo al fatto di averla persa per sempre, senza pensare che invece lei ora molto probabilmente sta bene, non sente più niente ed è felice. »

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