venerdì 31 dicembre 2010

La mia Suisse

Inventato settecento anni fa
da un tedesco, un italiano e un francese
che giocavano alla libertà.
Non c’è il mare in questo strano paese
e d’inverno fa un po’ freddo, però...

Cinque giorni fa a quest’ora stavo agonizzando in treno, con la testa dentro al water o qualcosa del genere. Dio, quanto sono stata male. Avevo mangiato un McChicken a Milano, e da quel momento sono stata sempre più male. Erano le otto. Avrei dovuto resistere fino a mezzanotte e mezza prima di scendere dal treno. Dio, che schifo. Stamattina mi sono fatta tutto il ritorno (almeno fino a Milano) spalmata immobile sul sedile con gli occhi chiusi e l’mp3 nelle orecchie, sperando di distrarmi e stare tranquilla. Credo di non avere vomitato solo per il semplice fatto che non avevo niente nello stomaco, perché solo aprire mezzo occhio mi faceva girare la testa. Il fatto è che in Italia la ferrovia va via dritta e chissenefrega a cosa passa sopra. In Svizzera, fa tante di quelle curve che metà bastano. Figurarsi col treno a 200 all’ora e che traballa. Non voglio nemmeno più pensarci. Se i miei parenti vogliono che torni a trovarli, devono insegnarmi a teletrasportarmi o materializzarmi o qualsiasi altra cosa che mi faccia evitare il treno (e anche la macchina, perché mi sa che sarebbe più o meno uguale).
Berna, torre dell'orologio.
Tra l’altro ho continuato a stare male anche i giorni dopo che sono arrivata, e mia zia mi ha anche fatto un cazziatone assurdo perché secondo lei sono io che mi fisso di stare male. Cioè, a sentire lei, pare che mi piaccia vomitare. Neanche mi mettessi un dito in gola o che so io, almeno finirebbe tutto presto.
Stasera non avevo nessun impegno per festeggiare, ma anche se ne avessi avuti avrei dovuto bidonare tutti, dato che sono ancora tutta sottosopra. Che poi, a Mestre, mentre aspettavo il treno regional-tetano, ho anche avuto la bella idea di mangiare il panino col salame che mi aveva preparato mia zia ieri sera, perché alla fine mi era venuta un po’ fame. Risultato: è dalle tre che mi balla nello stomaco e facevo decisamente meglio a lasciarlo dov’era.
Comunque, i giorni che stavo bene, siamo stati a visitare Lucerna e Berna. Ho fatto un po’ di foto, ma non sono venute tanto bene perché il cielo era grigio da fare schifo. A Lucerna nevicava, quindi sono venuti fuori nelle foto anche i fiocchi, specialmente dove non mi interessavano. Ma erano davvero a forma di fiocco, voglio dire, come quelli che si disegnano. Ho cercato di fotografare quelli che mi cadevano sui guanti, ma si scioglievano subito.
Ho portato a casa la ricetta di due dolci. Non vedo l'ora di provarli. Sbav.

sabato 25 dicembre 2010

It's easier to leave than to be left behind...

Domani ripartirò,
inutile dire che fa male
ma rende incantevole
ogni istante che passo con te.

Temo che dovrò fare così anche io
per convincerla a chiudersi.
Buon Natale.
Non ho tempo di fermarmi, devo correre a fare la valigia, perché più aspetto e più finisce che mi dimentico qualcosa. La verità è che ho preprato la lista qualcosa come un mese fa, ma mi manca ancora da mettere mezza roba, tipo tutti i caricabatterie, la fotocamera, il cell, le pantofole (sai com'è, le ho addosso) e cose così. E il fatto è che se non mi metto adesso, non lo facico più. E, dettaglio, parto domani pomeriggio. E, ancora più dettaglio, stasera fanno Ratatouille in tivvù, domani mattina dormo/vado a messa, subito dopo pranzo devo lavarmi i capelli e poi si va. Con mezza valigia, a giudicare dall'anda.
Che casino di Natale.

venerdì 24 dicembre 2010

C'è qualcosa dentro l'anima che brilla di più

A Natale puoi
dire ciò che non riesci a dire mai
che bello stare insieme
che sembra di volare
che voglia di gridare
quanto ti voglio bene.

Mancano otto ore a Natale. A dire il vero, chissenefrega di Natale. Tanto so che sarà la solita girandola di ipocrisia, di auguri finti e di sorrisi forzati, così come lo è sempre.
Quest’anno don Bepi ha anticipato la messa di mezzanotte alle dieci, povero, sta diventando vecchio anche lui, ma cascasse una pannocchia se va in pensione. Tanto quello che ci metteranno come rimpiazzo non può essere peggiore. Io e la Ele ci andiamo, alla messa di mezzanotte. Almeno poi la mattina possiamo dormire senza dover pensare che ci dobbiamo svegliare per andare in chiesa, e se ci svegliamo presto è solo perché vogliamo scartare i regali. Sì, siamo delle sporche materialiste anche noi. Come tutti, del resto. Avevamo chiesto a Marco se voleva venire, abbiamo provato a corromperlo i tutti i modi ma non attacca. Neanche dicendogli che dopo la messa ci danno il panettone. Se conoscessi abbastanza sua nonna, lo farei correre, ma non l’ho praticamente mai vista. E peccato, perché sennò capirebbe anche che non sono la ragazzaccia che lei pensa. Cioè, sì, sono una ragazzaccia, ma non sempre. E poi, a Natale siamo tutti più buoni. A Natale mi asterrò dall’essere ragazzaccia. E, a proposito di astensioni, oggi è la vigilia, quindi, come dice mia madre, digiuno e astinenza. Allora, indipendentemente da quello che dice lei, io ho fame. E quando ho fame, mangio. È chiaro?
Ieri pomeriggio sono stata a portare i regali ai miei cugini-rospi. L’idea era di fermarmi dieci minuti, dargli il regalo e via. Sono stata lì tre ore. Sì, va bene, non mi vedono mai. Sì, mi sono messa a chiacchierare con sua madre di ragazzi, il che potrebbe sembrare strano ma non lo è nemmeno tanto. Marco voleva accompagnarmi, ma alla fine non è venuto. Se gli sono fischiate le orecchie, eravamo noi che parlavamo di lui. Bene o male, non saprei. Fatto sta, che è diventato un’ossessione. Di giorno, di notte. È sempre intorno che ronza. Che se non lo sento io, me ne parlano. Poi la notte faccio sogni strani, che a dire il vero non voglio neanche che qualcuno me li interpreti, non voglio sapere cosa significano.
Sto ascoltando canzoni di Natale in cuffia, come se potessero crearmi l’atmosfera. La verità è che non creano un cazzo. Che alla fine albero e presepe e i residuati di neve fuori non mi danno nessuna bella sensazione di tepore natalizio o simili. Nemmeno i miei, nemmeno i regali già pronti sul tavolino (non posso metterli sotto l’albero, perché il pavimento del bunker è umido), che muoio dalla voglia di scartarli. Scommetto che mia nonna stanotte porterà giù la sua stecca di mandorlato duro, che lo prende per me e se lo pippa sempre mio padre perché a me piace il torrone morbido, e in 21 anni lei non l’ha ancora capito (oppure, sì, l’ha capito, ma siccome a lei e a mio padre piace quello duro, hanno deciso che deve piacere anche a me). A dire il vero, non ho la minima idea di cosa vorrei come regalo. Io non voglio mai niente, nel senso che non so nemmeno io cosa voglio. Nel senso che magari avrei un’idea di cosa, ma tanto poi so bene che non ci sarà, quindi non mi illudo nemmeno. Sono sempre stata così, a dire il vero. Non ho mai chiesto chissà che. Diciamo che mi basterebbe essere felice, non dovermi guastare sempre l’umore a causa di cazzate, passare il tempo con i miei amici, non avere rompimenti di scatole almeno quando sono con loro. È per quello che avevamo cercato di corrompere Marco a venire a messa stasera, per passarcela. Perché se un sacco di gente va a messa impellicciata e coi capelli cotonati solo perché è festa e bisogna farsi vedere, noi che a messa ci andiamo sempre, anche quando c’è più di mezza chiesa vuota, possiamo anche permetterci di stare tra amici, di fare versacci tra di noi quando don Bepi ci impesta di incenso e tutto il resto. Di stare vicini, spalla a spalla, a vedere la differenza di altezza, a pensare che per Natale sotto l’albero vorrei trovare uno sgabello, per arrivarci a baciarlo durante l’anno nuovo, perché se non la smette di crescere non ci arrivo davvero più.
È questo il Natale che vorrei io. Non quello delle luminarie, non quello dell’albero o del presepe, non il pandoro o il rametto di pino con gli auguri, non i soliti pranzi dai parenti che ti rompi e basta. Vorrei un Natale con i miei amici, tutti insieme.

mercoledì 22 dicembre 2010

Ieri ho capito che...

Ed una fame di sorrisi
e braccia intorno a me.

Ieri sera sono stata a mangiare la pizza con i notabili del paese, sarebbe a dire con il sindaco, la moglie (che lavora anche lei in municipio), l’assessore alla cultura (Mario) e la moglie. Poi c’era la Giò, la Elena del cg, la Raffaella e io. E il figlio piccolo del sindaco, che ha 19 anni. Me l’hanno messo in parte, della serie i giovani con i giovani. Non ero per niente entusiasta, ma poi alla fine abbiamo scoperto che andiamo all’uni entrambi a Venezia e che anche lui fa lingue (lcmc), così ci siamo messi a chiacchierare. Mi sono divertita una cifra. Direi che è stata una benedizione che se lo siano portati dietro, almeno mi sono passata il tempo. Sapevo già come andava a finire sennò: la Giò si sarebbe messa a parlare con la moglie di Mario e la moglie del sindaco (Miranda), la Raffaella e la Elena avrebbero parlato tra loro, Mario avrebbe spettegolato col sindaco, e io mi sarei rotta le palle. ogni tanto Mario avrebbe cercato di fare un po’ di conversazione, ma avrebbe desistito molto presto. Sapevo già che mi sarei rotta le palle ad oltranza.
Invece, provvidenziale Riccardo. Mi sta perfino simpatico (è anche carino, ma ha 2 anni meno di me -.-").

lunedì 20 dicembre 2010

Destinati a perdersi

Destinati a perdersi
in spazi troppo piccoli
in pezzi che non puoi riappiccicare.

E poi ti sei data della scema, quando sotto la doccia ti sei lavata via quel bacio che ti aveva appoggiato sulla guancia. Quel primo bacio che ti aveva dato. Avresti voluto chiedere di più, ma non l'avevi fatto, perché sapevi che forse avresti avuto un'altra occasione. Forse, perché chi ti assicurava che non sarebbe stata l'ultima volta che esageravi, che facevi tardi a cena, che correvi come una pazza in bici per arrivare a raggiungerlo prima che aprisse il cancello ed entrasse in casa? Dopotutto avevi solo tredici anni, e ancora non ti era chiaro dove iniziava l'amore, anche se dentro di te, ingenuamente, pensavi già di saperlo.

sabato 18 dicembre 2010

That may be all I need

Il mio hobby preferito è rompere le palle a mio fratello, almeno quanto lui le rompe a me. Mi hanno sempre detto che tra fratelli ci si prende a ciabattate se serve, e credo che lui muoia dalla voglia di levarsi una delle Converse pesanti e tirarmela dietro. Ieri sera ci siamo messi a fare a palle di neve fuori dalla biblio, come due bambini. Ma la verità è che non mi interessa se ho 21 anni, una volta che mi sto divertendo, perché devo farmi dei problemi?
Da sinistra: Samuele, Giulio, Francesca, Alberto, Emanuel,
Gaia, Io, Beatrice, Aurora L., Marco, Aurora M., Ele.
Oggi eravamo a fare baldoria col resto del kemma per natale. In tre settimane i bambini hanno deciso che: io e Marco siamo morosi, Marco e la Ele sono morosi, Marco e la Beatrice sono morosi. I primi due sono dati dal fatto che quando uno dei due arriva, ci si bacia. Il che, potrebbe anche sembrare strano a gente che ha 12 anni, ma per me è perfettamente normale. Voglio dire, un normalissimo bacio sulla guancia mi pare accettabile anche in presenza di minorenni. Sennò, diventiamo tutti giapponesi. Non capisco la questione Marco-Beatrice, ma credo che nessuno voglia capirla. Probabilmente hanno calcolato che, stando lei sempre incollata a noi, e non potendo stare con una femmina, non restasse alternativa.
I bochie hanno decretato anche che la Elena non viene più a lavorare da noi perché è incinta (non si sa di chi) e si sposa (matrimonio riparatore) e deve ovviamente invitarli tutti. Certo che hanno fantasia da vendere. Voglio dire, ne ho anche io, ma certe cose che penso, poi me le tengo per me.
Comunque, torniamo alla questione principale, cioè il festone-di-quasi-natale di oggi (senza vischio).
Abbiamo fatto 129 foto, che quando le ho scaricate mi è venuto male a pensare di doverle mettere su facebook, che ci avrei messo fino alle due di mattina. Invece è stato abbastanza collaborativo, e alle undici meno qualcosa avevo finito (ma non le ho caricate tutte, solo 75, perché le altre erano doppie o mosse o davvero orrende).
Questo è uno dei momenti in cui Marco si toglierebbe
una scarpa per tirarmela dietro.
Ci siamo no ingozzati, di più. Avevo portato i biscotti e sono praticamente spariti. Mia nonna direbbe “fulminati”. Ne avevo fatte due terrine separate apposta, perché sapevo che i piccoli sono voraci come canne di lavandino.
Poi, quando i minorenni se ne sono andati e sono arrivati gli altri minorenni, abbiamo iniziato a fare tutta la baldoria di cui siamo capaci. Solito.
In seguito, distribuzione regali di natale, da scartare il 25, ops si sta magicamente sciogliendo il nastro devo guardare cosa c’è dentro.
La verità è che gli voglio bene. Che vorrei trovare loro il 25 sotto l’albero quando mi sveglio, perché quando non ci sono mi mancano, anche quando ci prenderemmo a scarpate.

lunedì 13 dicembre 2010

Oh, I don't believe it

Non ci credo, Ca' Foscari ha sbloccato la compilazione dei piani di studio! Con possibilità di cambiare il curriculum online! Finalmente finiranno i miei casini burocratici. Per un attimo li ho lovvati. Ma solo per un attimo, che non si sa mai.

sabato 11 dicembre 2010

Stessa voglia di vita che tu hai, stessa musica in mente

Se manchi stringe un nodo
[…]
perché non chiedi mai perdono,
ma se mi abbracci non ti stancheresti mai.

Saremo scemi, eh. Stavo su emmessenne a chiacchierare con Marco ed è venuto fuori che forse un tizio che viene al cg potrebbe darsi che mi corre dietro. Non ricordo chi è il/la cretino/a che per primo/a ha fatto arrivare al mio orecchio questa blasfemia, ma non avrei mai dovuto farla girare, perché così Marco ne ha approfittato per prendermi in giro ad oltranza. Gli ho bloccato tutto tenendo il muso, con l’idea di sbloccarlo un minuto dopo. In quel micro lasso di tempo, lui ha chiuso tutto, msn e facebook, praticamente sbattendomi la porta in faccia più di quanto abbia fatto io. Siamo peggio dei bambini.
Solo che i bambini quando dicono “non ti parlo più” poi dopo cinque secondi si girano e fanno pace, noi grandi no. Noi grandi buttiamo all’aria amicizie decennali quando decidiamo che “non ti parlo più”.
Vivo in simbiosi stretta con Marco più o meno da aprile. Vuol dire che so anche che mutande porta e che voti prende a scuola. Vuol dire che la gente insinua che ne sia innamorata, ma non è vero. Solo gli voglio bene, come ai miei amici quelli veri. Non tutti i cinquecentoenonmiricordoquanti che ho su facebook, solo quei quattro o cinque che non lascerei andare mai.
È una cosa che va al di là di tutto il resto, semplicemente mi piace, per com’è, per quello che fa. Mi piace quando ride e dice “caaaara la [inserire un nome femminile a caso]”, mi piace quando vuole sapere qual è il mio giubbotto per appenderci sopra il suo, anche se sa benissimo che non può essere quello col collo di pelliccia, mi piace quando sta al computer a cazzeggiare e io dietro come un avvoltoio, col mento sulla sua testa, o mi si siede in braccio di colpo sfondando me e la sedia. Mi piace quando facciamo gli scemi e ci soffiamo come i gatti oppure facciamo le fusa se come due idioti ci facciamo i grattini in biblio. Mi piace quando devo alzarmi in punta di piedi per arrivare a baciarlo, che sei mesi fa non era così alto, e ci fosse mai una volta che si abbassa lui.
Ma tutto questo è difficile da spiegare a persone che, quando ti vedono per tre giorni di seguito in compagnia di un maschio, mettono immediatamente in conto che siate in lovv e che state insieme. E non conta se sanno che è il tuo fratellino adottivo, non conta perché capiscono quello che vogliono capire. Evidentemente loro non hanno mai avuto un amico così. Non si sono mai fermati a guardare le piccole cose, a pensare cosa gli piace di quello che fanno gli altri. Sarà che io ho tempo da perdere, evidentemente.

venerdì 3 dicembre 2010

Leading you down into my core

Ti guardo mentre scrivi
frasi che non mi farai leggere mai.

C'è qualcosa di strano in me. Sì, voglio dire, oltre a tutto quello che c'è sempre stato. C'è qualcosa di strano e non riesco ad isolarlo.
Scrivo come una dannata, consumo fogli su fogli, cancello le lettere della tastiera a forza di batterle, e non arrivo da nessuna parte.
Sogno situazioni romantiche la maggior parte della notte ma non intendo procurarmi un moroso, anche perché il più delle volte non so chi sogno, mi ritrovo a chiedermi "chi eri, stanotte?". Perché so chi sarebbe l'attore principale, ma non sempre ha la sua faccia. Forse è solo che sono attaccata al passato e il futuro mi strattona per la maglia e cerca di portarmi via. Il presente è troppo fugace, quando cerchi di focalizzarlo è già andato.
Ieri pomeriggio, mentre cazzeggiavo allegramente al computer (come se non avessi qualcosa come 748521 cose da fare) mi sono arrivati in cuffia gli Evanescence. Quella precisa canzone non la ascoltavo mai oltre i cinque secondi, perché era legata a una situazione di tre anni fa. C'entra un ragazzo. Un ragazzo, un sabato sera di dicembre, un lettore mp3 scalcagnato, uno scooter. Niente baci o altro, lo so che state già pensando male. C'entra lo stesso ragazzo che appare nei miei sogni, quello che non sempre però è lui.
Dicono alcuni che finirà nel fuoco il mondo; altri nel ghiaccio. Del desiderio ho gustato quel poco che mi fa scegliere il fuoco.
Robert Frost ci ha visto giusto. Scelgo il fuoco. Scelgo il mannaro, anche se tutti gli altri, me compresa, erano vampiri.
Resto sveglia fino ad ore assurde, indipendentemente dal fatto che mi debba alzare alle sei di mattina o a mezzogiorno, e non sempre per finire mattonazzi di libri. A volte sì, ma non sempre. A volte ho il mio quadernetto sul comodino, la mia penna nera, scrivo cose che nessuno leggerà mai, specialmente alcune persone.
Mangio. Mangio troppo, poi sto male. Ma pensare che c'è una stecca di torrone nell'armedietto o che nel frigo c'è della cioccolata è più forte di me. Sono capace di alzarmi dal letto apposta, di tirarmi fuori dalle coperte per andare a rubacchiare una sottiletta dal frigo o una fetta di pan carrè, come se ne avessi davvero bisogno.
Faccio il lavoro degli altri. Quando sono in biblio, non mi ferma nessuno, so quello che c'è da fare e non ha senso rimandarlo, a meno che non ci sia un buon motivo. Ma deve essere davvero buono, perché non mi va di lasciare roba arretrata. Come se fosse lavoro che devo sbrigare io, poi.

giovedì 2 dicembre 2010

Ma non è facile, lo sai

Una bella favola mi ha raccontato che
là sopra il tetto azzurro dell’immensità
con prati ed alberi
c’è un giardino che confini non ne ha
[…]
su questa terra un fiore nuovo spunterà
sarà bellissimo
dal profumo che fa un gesto di bontà
e già l’aspettano.
Il dolore di un lutto si articola in cinque fasi:
1. negazione
2. rabbia
3. auto-recriminazioni
4. depressione
5. accettazione
Mia nonna è morta un anno fa.
Sono passata dalla negazione alla rabbia alle auto-recriminazioni più o meno in un paio di ore. Mi ricordo. Mi ricordo di come all’inizio non mi cambiava la vita, di come mi sono poi resa conto che non ci sarebbe più stata, di come ho pianto perché egoisticamente la volevo ancora con noi.
Sono arrivata alla fase cinque, anche se in particolari momenti tendo a scivolare nuovamente nella fase quattro.
La verità è che, pur non avendola mai considerata molto, manca. Manca perché ti accorgi delle cose che non ci sono quando non le hai più.
L’altroieri sono stata in cimitero. Mi andava. Erano le cinque meno qualcosa, e non si vedeva niente, solo le luci delle tombe, tutte uguali. Una volta mio nonno aveva la lampadina rossa, ma ora che l’hanno cambiata non si vede più, ora è uguale alle altre e non illuminano nemmeno la foto sulla lapide, figurarsi il pavimento.
Non ho cantato, non ho parlato, non ho pregato. Sono stata lì a guardare le due lapidi vicine, pensando a ciò che mi aveva detto un amico. Quando la chiuderanno, allora saprai che è finita davvero.
Ma ricorda, kat, Don Bepi dice che stanno lì a dormire. La morte non esiste, perché Dio ha creato l’uomo eterno. La morte è un’invenzione dell’uomo.
L’ultimo nemico ad essere distrutto sarà la morte (1Cor 15,26)
Perciò, nonna, se tu adesso stai bene dove sei, se è vero che la morte è solo un’invenzione, vuol dire che un giorno ci vedremo di nuovo. Vuol dire che potrò chiederti scusa per quando non si sono stata. Vuol dire che potrò ancora stare sotto al tuo ombrello come quando ero piccola ed eravamo felici.
E se mi viene da piangere mentre ci penso, se le lacrime cadono sulla tastiera senza che io possa fermarle, se scrivo ad occhi chiusi perché non ci vedo fuori, non vuol dire che sono triste. Forse sto solo aspettando che arrivi quel momento, perché adesso manchi.

Cos’è una goccia d’acqua se pensi al mare
un seme piccolino di un melograno
un filo d’erba verde in un grande prato
una goccia di rugiada, che cos’è?
[…]
qualcuno dice “un niente”, ma non è vero.