martedì 29 novembre 2011

Delusione

Ho appena finito di piangere e scrivo con gli occhi ancora rossi e gonfi, perché non scrivere sarebbe peggio. Oggi pomeriggio è uscita la graduatoria del servizio civile, e nel posto in cui avevo chiesto di andare sono terza. Il problema è che c'è un solo posto e se l'è fregato uno che non so nemmeno chi sia. E il problema più grosso, quello che veramente mi ha dato più fastidio del non aver ottenuto il posto, è che la seconda classificata è una ragazza che mi sta sulle palle in una maniera stratosferica, che non so come abbia fatto a prendere tre quarti di punto più di me quando sistema i libri alla rovescia, con la Z in alto e la A in basso (lo so perché ha fatto lo stage in biblio questa estate e dovevamo passarle dietro a sistemare quello che faceva) o forse lo so, ma non posso dirvelo.
Essendo "idonea non selezionata" potrei aspirare a prendere un posto rimasto vacante da qualche altra parte, ma la vedo dura perché quest'anno eravamo davvero una valanga. La verità è che era la sola occasione di avere un lavoro sicuro per almeno un anno e qualcosa di "importante" da scrivere nel curriculum poi. E adesso tutte le speranze di mettere il culo al sicuro si sono sbriciolate ed è quasi Natale e io non so dove sbattere la testa. Riprendere l'uni è fuori discussione, non posso farcela. Non me ne frega di farcela, a dire il vero. Solo a pensarci mi viene il vomito.
Addio stipendio. Addio, reflex.

Project 52: 38/52

Tramonto

giovedì 24 novembre 2011

Pensando a lei

Chissà perché, adesso ogni volta che scrivo mi viene in mente la Bahlke. Mi viene in mente, e poi capita come oggi che scrivo di lei.
Il foglio protocollo è fatto di quattro colonne per scriverle tutte. Ogni volta ce lo diceva e ogni volta io arrivavo in cima alla quarta colonna e dopo cinque o sei righe avevo finito il tema. Sei una ragioniera, mi diceva, vai dritta al punto. Anche se lo sapeva benissimo che non eravamo per niente una classe di ragionieri. La partita doppia non l’aveva mai capita nessuno e c’era gente che ancora sommava gli sconti nelle fatture.
Ma alla fine io so che le piaceva la scrittura tonda e l’andare dritto al punto. Diceva che le cose di troppo contribuivano a ritoccare il voto verso il basso, perché con lei scrivere quattro colonne intere e usarne tre per parlare di dettagli inutili poteva essere un autogol clamoroso.
Lei che odiava le calligrafie da gallina e i crostoni di bianchetto.
All’epoca scrivevo un sacco. Scrivevo al computer i miei fogli, scrivevo a scuola quando c’erano le ore buche le situazioni delle mie trame sbilenche, scrivevo papiri sul cellulare nascosta dietro lo zaino con la mano sinistra, perché con la destra intanto prendevo appunti.
Lei era quella che entrava in classe e diceva “qui c’è puzzina-puzzetta” e ci faceva aprire le finestre. Era quella che ci raccontava cosa combinavano in quinta quando noi eravamo ancora due anni indietro e ci faceva venire voglia di crescere di colpo o di restare piccoli per sempre.
Delle volte ci raccontava le trame dei libri, anche delle anticaglie, e ci faceva venire voglia di leggerli. E poi, quando ce li avevi in mano ti chiedevi se fosse il libro giusto, perché come lo raccontava lei era molto più avvincente. Che Dante è un grande e D’Annunzio uno sbruffone antipatico e anche un po’ porco, che come puoi dimenticartelo se te lo spiegano così?
E come il foglio protocollo, anche le domande con le righe erano fatte per non sgarrare, e guai a chi provava a barare uscendo dai margini. Rimpicciolire la scrittura valeva, ma solo se era uguale in tutto il compito.
La storia potevi raccontarla al contrario, se volevi, l’importante era che alla fine tutto tornasse, che ci fossero cause, conseguenze, assassino e movente come in ogni giallo che si metteva a leggere e di cui a volte ci parlava.
E la gomma non potevi mangiarla, guai a chi ruminava come una mucca. E se facevi il furbo e te la incollavi da qualche parte in bocca, potevi stare sicuro che al minimo movimento ti avrebbe fregato, perché anche se sembrava non guardarti, vedeva tutto.

giovedì 17 novembre 2011

Un'ugola d'oro zecchino

Oggi pomeriggio, siccome non avevo assolutamente un cavolo da fare (come se fosse una novità), mi sono piazzata davanti alla tivvù a guardare lo Zecchino d'Oro. Per favore non guardatemi con quella faccia. La verità è che ci sono cresciuta insieme, che anche quando ho smesso di seguirlo mi sono lo stesso ascoltata le canzoni all'infinito per impararle e poi le ho cantate all'infinito. La verità è che non lo guardo perché la mera trasmissione è diventata una fiera delle cazzate in cui perfino i bambini sono montati la testa, cantano col microfono in mano e ondeggiano e neanche il coro è capace di stare fermo. E siccome sono malvagia vi dirò anche che quando cantano i piccoli si capiscono mezze parole e l'altra metà te le immagini. Ma questo più o meno è sempre stato.
Mi ricordo quando c'era Mariele, anche se io avevo solo sei anni quando è morta. Mi ricordo Mariele, mamma di mille bambini e zia di mille canzoni, che dirigeva il coro con quelle cuffie enormi, con quei suoi vestiti lunghi fino ai piedi.
Oggi pomeriggio c'era una bambina nel coro, in alto a destra, che sembrava me quando avevo dieci anni. Stessa faccia cicciotta e non troppo sveglia, stessa coda e stessi occhiali (appena mi capita, vi faccio uno screenshot dal video). Avrei potuto essere io, tranne per il fatto che io cantando avrei messo le mani dietro la schiena. Perché la verità è che io avrei pagato oro per poter cantare nel coro dell'Antoniano. Io, che cantavo a tutte le ore, io che nella mia letterina a Babbo Natale c'era sempre scritto che volevo "la cassetta dello Zecchino d'Oro"(e in genere solo quello, tra l'altro). Io che direttamente il giorno di Natale ancora prima di ascoltarla chiedevo a mio padre di farne una copia in previsione del fatto che l'avrei frugata. Giuro. Rompevo i nastri. Si aggrovigliavano dentro al registratore e bisognava rifarli su con il tappo del pennarello che si incastrava bene e tirando si spaccavano e li aggiustavo con lo scotch e poi ad ascoltarli saltavano.
Quando anadavo in montagna con mio padre, in macchina cantavamo sempre a cappella. Io facevo la solista (o anche i solisti, se erano canzoni cantate da due o tre bambini) e lui il coro, che erano le parti più corte e facili. Ancora adesso quando vado in giro in macchina, tipo a prendere il treno, me la suono e me la canto da sola. Le mie preferite da cantare mentre guido, in genere sono La doccia col cappotto e Il ballo del girasole (cercate pure sul tubo), però credo che di queste che ho sentito oggi si aggiungerà presto Un punto di vista strambo.
Però un po' mi manca il vero Zecchino, quello col Mago Zurlì (che sarebbe a dire Cino Tortorella, visto che ai miei tempi già non era più vestito da mago) e Topo Gigio, col coro vestito da Benetton (nel 1992 erano a dir poco orrendi, con quella B enorme sulla maglia) e con Mariele. Era lei, il vero Zecchino.

lunedì 14 novembre 2011

Let's reflex

Allora allora. Sulla famosa festa di sabato preferisco non pronunciarmi, altrimenti potrei dire peste e corna della maggior parte dei partecipanti. Quindi soprassediamo. Domenica avevamo il nostro banchetto di lavoretti di natale alla festa del ringraziamento, e sono tornata a casa piena di brillantini rossi. Ne ho ancora di attaccati ai capelli e alla felpa, perché per toglierli credo che ci vorrà un vero e proprio miracolo.
Comunque il punto è che ho fatto un po' di foto sia sabato (oltre settanta, la gran parte delle quali mosse perché "stai fermo" alle orecchie di alcune persone non ha un senso) che domenica e mi sono accorta con orrore che tutte quelle scattate all'interno, specialmente alla presenza di una luce al neon, buttano orrendamente sull'arancione per quanto avessi bilanciato la luce e tutto. Sono addirittura a puntini. Le poche che ho fatto all'esterno, con la luce del sole, sono venute bene. Ma voglio dire, davvero bene.
Insomma, un nervoso. Così si fa sempre più strada nella mia mente l'idea di prendermi una macchina fotografica degna di questo nome. Una bella reflex, che quella che ho ora in confronto va bene per fare i turisti per caso.
Da lunedì escono le graduatorie del servizio civile, e nel caso fossi presa credo proprio che il primo stipendio verrà investito in una nuova macchina fotografica.

mercoledì 9 novembre 2011

Un pomeriggio come un altro

Sono qui in biblio che mi gratto allegramente, perché la gente sul presto langue e però bisogna essere qua per ogni evenienza. Domenica (e non solo) c'è la festa del ringraziamento, conosciuta da tutti come "festa del toro" per via della bizzarra usanza, fino all'anno scorso di servire toro allo spiedo. Io personalmente non l'ho mai mangato, ma mi dicono che non fosse questo granché (e che oltretutto costasse un'esagerazione). Dentro al palazzetto c'è il mercatino delle associazioni e dei commercianti, e ci hanno dato uno spazio anche a noi del kemma, per farci un po' di pubblicità Così stiamo cercando di pensare e capire cosa possiamo proporre a quei poveri bambini che passeranno di là e che noi irretiremo. Qualcosa di natalizio, magari dei bigliettini di auguri. Io ho proposto anche le buste da colorare, tagliare e incollare per la letterina a Babbo Natale, ma vedremo. Non che manchi molto, a dire il vero.
Comunque, mentre me ne stavo qui a vegetare è passato un ragazzo che io trovo a dir poco inquietante, e siccome lo conosco da un po' mi sono anche fatta un'idea di com'è, che è stato un pezzo a tampinarmi mentre aspettavo che il computer si desse una mossa, che mi ha chiesto come mi chiamo e quanti anni ho e dove abito e poi no ho capito il senso, mi ha mostrato, facendomele appoggiare palmo contro palmo, che le sue mani sono più grandi delle mie e a questo punto ho pensato che per fortuna c'era in mezzo la scrivania, ma che sennò io so comunque fare quella bellissima mossa con la leva che abbiamo rivisto ieri sera e che posso stenderlo e poi chiamare la polizia. Sembra di no, ma quando ti rendi conto di cosa sei capace di fare, poi ti viene in mente che effettivamente potresti usarlo. Io e la Giulia, abbiamo quasi pensato di dare una pubblica dimostrazione sabato sera al compleanno, testando le mosse che abbiamo imparato addosso a un certo ragazzo pettegolo (e che ci sta anche un po' sulle palle) che figurarsi se non viene alla festa.
E adesso, speriamo che arrivi la Mara, così almeno facciamo quattro chiacchiere.
(Domani ho il famoso colloquio. Me la sto già facendo sotto, perché se non prendo un bel punteggio molto alto addio posto a Ponte.)

lunedì 7 novembre 2011

Il nome che detesto

Per qualche stupido motivo, nel tuo cervello sei convinta che i fratelli piccoli rimangano sempre piccoli, invece giri l'occhio un attimo e quando torni a guardarli non li riconosci più.
Sono gelosa come una scimmia, perché Marco ha una nuova fiamma, che non si sa bene quanto sia ricambiato e che noi tutte vecchiarde disapproviamo. Lui non ci ascolta, oppure lo fa ma non ci dà retta, che io trovo una cosa stupida ma che è ampiamente giustificabile perché io ero uguale spiccicata. Solo che io ero anche un pochino più innamorata di lui, e anche da un po' più tempo.
Voglio dire, ho perso il conto delle tipe di cui mi ha parlato da quando ha messo piede alle superiori (per non parlare di quelle che mi raccontava mentre cercava di venire fuori dalle medie), e sono convinta che non ce ne sia stata nemmeno una di cui era davvero innamorato cotto, intendo a quel grado in cui si fanno le vere cavolate, si cammina alti da terra mezzo metro e quando ti arriva un suo messaggio ti si stampa in faccia un sorriso ebete che potresti vincere un premio.
Tra l'altro la tipa ha anche un nome che io associo per definizione a delle persone stupide (o forse è un caso, ma la gran parte di quelle che conosco che lo portano sono stupide o almeno si comportano come tali).
Sono irrazionalmente gelosa, come lo ero da piccola quando mia madre guardava gli altri bembini, che potendo l'avrei presa di peso e portata via. E sono malvagia, spero che piova tutta la settimana e che non si vedano, spero che lei sia ancora persa per il suo ex, cose del genere. Oggi gli ho perfino detto che ci arrabbiamo perché vuole più bene a lei che a noi, che siamo le sue vecchiarde e che deve ascoltare quando lo consigliamo, se non vuole restare col culo per terra. Ma so che stiamo parlando col muro, e che è meglio preparare il cucchiaino per quando dovremo raccoglierlo. Solo che, come minimo, la prima cosa che diremo sarà "te l'avevo detto". Questo se lo merita proprio.

venerdì 4 novembre 2011

Depression

I've got to move on and be who I am
I just don't belong here I hope you understand
we might find our place in this world someday
but at least for now I gotta go my own way

Non so bene cos’ho ultimamente. Non capisco se sono arrabbiata o se sono abbattuta. È che un sacco di cose mi fanno girare le scatole ma invece che prenderle a pugni vorrei solo sedermi in un angolo e piangere fino alla fine delle lacrime.
Ieri sera ero in chat su face con Bruno e ci siamo messi a parlare dell’uni e del servizio civile. Mi ha detto che così perdo un anno, che mi laureo più tardi. Gli ho detto che a dire il vero, me ne frego di laurearmi. Mi ha detto anche che quando sono laureata posso trovarmi un lavoro bello (e questo è tutto da vedere, a dire il vero) e trasferirmi. Non ho la minima intenzione di trasferirmi. I miei sono delle pigne nel didietro, però non mi fa voglia andare via da casa. Specialmente pensare di dormire da sola la notte. Ultimamente ho sviluppato una fottutissima paura dei ladri e se sento anche il minimo rumore non riesco più a dormire. Vabbè, ma ora non c’entra. Quello che mi ha dato fastidio, anche se non è la definizione esatta, è che sia stato uno più piccolo di me a venire a farmi la morale e dirmi cosa devo o non devo fare, uno che un volta lo stavo a sentire io, come se si fossero rovesciate le parti. Cioè, sono sicura che non intendeva impormi niente, voglio dire, erano solo consigli e constatazioni, ma siccome ne ho le tasche piene di gente che mi chiede come sono presa con l’uni e perché ho mollato e cose del genere (e in particolare c’è un sacco di gente che manco mi conosce a chiedermelo), ormai l’argomento mi dà un gran fastidio.
La verità è che non so cosa voglio fare della mia vita, che giovedì vado a fare il colloquio per il servizio civile e spero di prendere un buon punteggio e che mi mandino dove ho chiesto, ma in realtà non me  ne frega niente di passare. Voglio dire, ultimamente le cose mi stancano. Qualsiasi cosa. Che sia stare in biblio, che sia guardare la tivvù, che sia stare al computer a cazzeggiare, che sia giocare col gatto.
Sabato prossimo sono stata invitata a una specie di festa di compleanno di un’amica, e non ho la minima voglia di andarci, perché so già che quando il gatto non c’è i topi ballano, quindi immagino che scorrerà alcol a fiumi (e io non bevo), che le ragazze faranno le vacche e balleranno addosso ai pochi ragazzi che ci saranno (e io non sono il tipo), che saranno tutte vestite e truccate come se andassero a un ricevimento (e io non credo proprio) e qualsiasi altra cosa vi possa venire in mente. Ho detto che allora avrei fatto la fotografa, giusto per non stare a fare il soprammobile e a tediarmi tutta la sera in mezzo a gente che non so nemmeno chi sia. Solo che avrei fatto meglio a stare zitta, perché adesso sono davvero costretta ad andarci.
Martedì ricomincia anche il corso di autodifesa, annuale, e gli ho detto che vado perché mia madre ha fatto del terrorismo dicendo che devo muovermi sennò divento sempre più goffa e imbranata e le falde di grasso si moltiplicano (mia madre mi vuole davvero bene), ma non ho assolutamente voglia, a dire il vero. Pensare di pagare per muovermi e anche per tutto l'anno, mi fa venire voglia di dirgli che mi sono sbagliata e non ci vado più.
Voglio scappare lontano e nascondermi da tutto e da tutti.

giovedì 3 novembre 2011