giovedì 31 ottobre 2013

Super Mario (è la mia rovina)

Ieri sera stavo chiacchierando con Bruno a proposito del fatto che siamo due videogiochi-dipendenti, lui gioca ai Pokémon e io a Super Mario. Per ridere gli ho perfino detto che andando avanti così finirà che io mi sposo con Mario (alla faccia della principessa Peach), e lui probabilmente con l’infermiera Joy.
Stavo scherzando, ma solo perché Mario e la Joy non sono reali, sennò mi farebbe comodo un idraulico (con quello che costano!) che mi salvi anche la vita (due piccioni con una fava, meglio di così). Il fatto è che Mario è la mia rovina, perché quando inizio a giocarci, poi non smetto fino a che non ho completato tutti i livelli, sia pure in modo un po’ approssimativo (poi torno indietro a sistemarli alla fine), e passo letteralmente ore a sentirmi dire: “it’s a-me, Mario” e “just what I needed!”.

Adesso sono intrippata a giocare a Super Mario World (per gba), che puoi giocare anche con Luigi, ma io non lo uso mai perché è idiota. Però mi diverto un sacco a schiacciare R continuamente, che serve per cambiare personaggio, e loro dicono: Luigi! Poi schiaccio di nuovo, e dice: Mario! Eccetera. Mi diverto con poco, dopotutto.

lunedì 28 ottobre 2013

Recensioni: La piramide rossa (Kane Chronicles #1)

La piramide rossa (The Kane Chronicles - The red pyramid) è il primo volume della serie Kane Chronicles di Rick Riordan, già autore della serie Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo.
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
Carter e Sadie Kane, fratello e sorella, sono i figli del famoso egittologi Julius Kane. Dalla morte della loro madre, Carter gira il mondo con suo padre mentre Sadie è rimasta a Londra con i nonni. Carter e il padre possono vederla solo due volte all'anno, ed è in una di queste, la vigilia di Natale, che inizia la nostra storia. Julius porta Carter e Sadie al British Museum per quella che sembra una visita speciale al reparto egizio e che si trasformerà nella fonte dei loro guai. Il padre, infatti, con un incantesimo, fa esplodere la Stele di Rosetta e libera cinque dei dell'antico Egitto. Lo spirito di Osiride entra nel corpo di Julius, e Set, il fratello cattivo, ripete la storia mitologica e lo seppellisce in un sarcofago dentro al pavimento, per non essere ostacolato nei suoi malvagi piani. Nel frattempo, richiamati dall'esplosione di potere e dalla liberazione degli dei, arrivano i maghi della Casa della Vita a cercare di catturare, se non Julius, ormai sepolto, almeno i figli. I due, però, vengono salvati dallo zio Amos, fratello del padre, che li porta in salvo nella sua casa di Brooklyn e spiega loro ciò che è successo, con la cruciale rivelazione che anche Carter e Sadie sono maghi, che discendono da ben due linee di faraoni e che quindi sono molto potenti. Si scopre anche che, gli spiriti di Iside e Horus sono entrati nel corpo di Sadie e Carter e che ora li possono aiutare a fare le magie.
La quiete casalinga però dura poco, e Carter e Sadie vengono portati nel Primo Nomo, il quartier generale dei maghi della Casa della Vita. Iskandar, il Primo Lettore, vuole addestrarli, ma muore subito dopo, e il suo successore, Desjardins, intende farli uccidere. Carter e Sadie allora scappano, aiutati da Ziah e dalla dea-gatta Bast, e iniziano la loro ricerca di Set per fermare i suoi loschi piani...

Avevo apprezzato Rick Riordan già ai tempi di Percy Jackson, pur riconoscendo che ho probabilmente una decina d'anni di troppo per poter davvero considerare meravigliosi i suoi libri. Il fatto è che scrive in modo così scorrevole e coinvolgente che vuoi sapere a tutti i costi cosa succede dopo, e vai avanti a leggere anche se è notte fonda e sai che il giorno dopo ti devi alzare (a parte che io, personalmente, certe mattine mi alzo pensando se al pomeriggio posso permettermi di tornare a dormire, il che la dice lunga). Non è un libro piatto, di quelli che a pagina tredici sai già per filo e per segno come continuerà fino a pagina duecentosette, e a pagina duecentootto scopri il finale con trecento pagine di anticipo. L'unica cosa che hanno sbagliato gli stampatori della Mondadori è stata di mettere proprio quella frase in quarta di copertina. Quella è stata davvero uno spoilerone, ma grazie a Dio io in genere non leggo le quarte di copertina prima di iniziare il libro.
L'unico piccolo problema, che forse a un quattordicenne non darebbe particolarmente fastidio, è che sinceramente Carter Kane e Percy Jackson potrebbero anche essere la stessa persona. Parlano nello stesso modo, ridono delle stesse cose, usano le stesse frasi. Solo che Carter sta a Brooklyn, e Percy a Manhattan. A Manhattan c'è un altro tipo di magia, come ha detto lo zio Amos.

giovedì 24 ottobre 2013

Suonatori di piffero

Il bambino a cui do ripetizioni (per comodità, F) è impedito in musica. Non sa leggere le note, e ogni volta che deve capire cosa c’è disegnato sul pentagramma parte a contarle dal do. Ora, per facilitargli le cose, gli ho detto che, se non le riconosce a colpo d’occhio (cosa che non sempre viene neanche a me, specialmente se sono più alte del si), almeno parta a contarle dal sol. Credete che il suggerimento abbia avuto esito? Macché.
Comunque, il problema maggiore è che non sa suonare il flauto. Voglio dire, non sa proprio far uscire un suono decente, sembrano tutti fischi del treno, dal do all’altro do. Ho cercato di spiegargli come deve soffiare, ma le poche volte che una nota gli viene decentemente, si agita così le altre sei vengono anche peggio del solito. (Grazie a dio nessuno gli ha insegnato a suonare i vari diesis e bemolle, sennò le stecche sarebbero dodici).
Mia madre, a cui non dovrei raccontare mai niente, mi ha detto che potrei portare il mio flauto (d’ora in poi “piffero”) e fargli sentire come sono le note giuste, e magari, per invogliarlo, suonargli qualcosa.
Morale della favola, oggi pomeriggio, quando sono tornata a casa, ho riesumato il piffero e il libro di musica con gli spartiti dai recessi dell’armadietto e ho provato a vedere se mi ricordavo di suonare qualcosa. Le dita si muovono da sole, ma faccio ancora una gran fatica a suonare una canzone intera senza sbagliare nota.

Per il momento sono (quasi) in grado di suonare:
- Venite fedeli
- Happy xmas
- Stille nacht (le canzoni di natale sono le più facili)
- Bolero (M. Ravel)
- Te deum (Charpentier)
- Donne (Zucchero)
- Il pescatore (De André)
- Inno alla gioia
- Inno di Mameli
- Primavera (le quattro stagioni, Vivaldi)
- Marcia trionfale (Aida, Verdi)
- Va pensiero (Nabucco, Verdi)
Tutte queste, le ho imparate da sola, perché a scuola la prof si era fissata con Samarcanda (Vecchioni) e il Ballo in fa diesis minore (Branduardi), canzone che mi ha fatto odiare con tutta me stessa il fa#.
Penso che gli farò sentire qualcosa di natale.

lunedì 21 ottobre 2013

Tappezzeria

Passi tutta una vita, anno dopo anno, a preoccuparti degli altri, ad essere gentile, ad aiutarli, a starli a sentire, (a cercare di farti ricordare), facendo finta che non ti pesi, cercando di non essere la tappezzeria (come invece succede puntualmente), e poi finisce che la gente che quasi non ti conosce sia più riconoscente di tutti gli altri.
Non riesco a farmi valere neanche con i bambini di dieci anni, il che è assurdo, ma forse è perché sono sempre gentile, e mi piacerebbe che tutti lo fossero, mi piacerebbe che non si dovessero mettere i piedi in testa agli altri ed essere disposti a vendersi la nonna per fare strada e sembrare i più superfighi di tutti.
Leggevo su Focus che le persone gentili fanno meno strada e prendono meno paga dei prepotenti. Ma vi pare normale?
A volte vorrei davvero essere cattiva, così gli stronzi avrebbero il fatto loro.

sabato 19 ottobre 2013

Ma chi ti ha dato la patente?

Io odio guidare, e voi lo sapete perché ve ne ho parlato, ma adesso che mi tocca farmi Salga-San Donà e ritorno quattro volte alla settimana, odio più che altro come guidano gli altri.
Io sarò anche imbranata e insicura, ma per girare metto la freccia, e quando il semaforo è rosso tengo il piede sul freno così quello che arriva dietro sa che sono ferma (che è esattamente come si dovrebbe essere). Un sacco della gente che trovo sulla mia strada, invece, per prima cosa parla al telefono. Credo di non sbagliare di molto a ipotizzare che quasi la metà delle macchine sia guidata da gente che telefona (col telefono all’orecchio, intendo). Poi, in virtù del fatto che hanno una mano impegnata e pensano a qualcos’altro, fanno delle pericolose invasioni della corsia opposta che durano pochi secondi, ma che se sei su una strada stretta pensi che finirai giù per il fosso (l’alternativa sarebbe fare un frontale col telefonista). A volte penso che, se prendessero in pieno un platano, gli starebbe solo bene (sono malvagia, sì).
Non parliamo neanche di quelli che girano senza freccia, come se chi sta dietro potesse leggergli nel pensiero, o di quelli che, dovendo girare a destra, prendono l’onda passando per il centro della strada, come se avessero in mano un camion-rimorchio.
L’altro giorno, avrei potuto comodamente portare via il cofano a uno che usciva da una laterale con lo stop. Aveva metà macchina oltre la linea. Poi, mi sono accorta che era una macchina della scuola guida. Il mio istruttore mi avrebbe fatto fare retromarcia di tre metri, a costo di sbattere addosso a quelli dietro. Dopo questo, mi è tutto molto più chiaro sul perché guidano così. 

mercoledì 16 ottobre 2013

Noi siamo i numeri primi

I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci. Il secondo pensiero lo sfiorava soprattutto di sera, nell'intrecciarsi caotico di immagini che precede il sonno, quando la mente è troppo debole per raccontarsi delle bugie.
In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l'11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l'uno all'altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre.
Mattia pensava che lui e Alice erano così, due primi gemelli, soli e perduti, vicini ma non abbastanza per sfiorarsi davvero. A lei non l'aveva mai detto.
(La solitudine dei numeri primi, Paolo Giordano)

martedì 15 ottobre 2013

24

Da non credere. Oggi è il mio compleanno e mia nonna viene giù a farmi gli auguri e poi si mette a parlarmi del bambino di mia cugina e del nipote di questa e del figlio dell’altra, che non trovano lavoro. Le ho detto in faccia “non mi interessa”, e se l’è anche presa. Cazzo, è il mio compleanno, mi preoccupo delle rogne degli altri per gli altri 364 giorni.
E la cosa più spettacolare è che invece, gli altri, mi snobbano gli altri 364 giorni, e anche oggi, se solo Facebook non glielo ricorda.
Giornata rovinata. Ho appena finito di piangere.

lunedì 14 ottobre 2013

Povertà

Oggi pomeriggio ero con mio padre a fare la spesa al discount. In realtà non avremmo bisogno del discount, non siamo ancora così poveri, ma risparmiare qualche euro fa sempre comodo. Quando siamo andati in cassa, dietro di noi c’era un signore anziano, penso avesse sui 75 anni, che aveva in mano una confezione con una pagnotta già a fette, e un panettone piccolo, di quelli un po’ schiacciati, di seconda scelta. Aveva girato per gli scaffali un pezzo, probabilmente per controllare bene tutti i prezzi e scegliere le cose meno costose. Al momento di appoggiare in cassa la roba, il pane a fette era tornato sullo scaffale. Io non ci avevo fatto caso, me l’ha detto mio padre quando siamo usciti e l’abbiamo visto sistemare il panettone sul portapacchi della bici. È solo una supposizione, ma molto probabilmente non poteva permettersi entrambi gli articoli. Probabilmente ha scelto di tenere il panettone perché dovrebbe tirarti un po’ più su.

Mi viene da piangere, a pensare che ci sono persone ridotte così.

Domani

Stanotte, dopo mezzanotte, stavo ancora leggendo (sai che novità), e mi è caduto l'occhio sull'orologio. Più che sull'orologio, sul numeretto della data che sta al posto del tre. E, per qualche stupido motivo, leggendo 14, mi è sfuggita, a voce alta, una sola parola: "domani".
È quasi assurdo aspettare così il compleanno.

mercoledì 9 ottobre 2013

Disegno tecnico

Quando andavo alle medie, disegno tecnico era una delle materie che mi piacevano di più (se vi state chiedendo quali erano le materie che mi piacevano di meno, sono lieta di rispondervi matematica e scienze. Ginnastica mi era ancora abbastanza indifferente, perché il prof non ci faceva fare praticamente niente). Mi piaceva soprattutto perché non bisognava studiare, probabilmente. Il prof ci dava sempre un disegno per casa e la  lezione successiva ci chiamava in ordine alfabetico per consegnarglieli. Poi ci dava quello per la volta dopo (noi potevamo già iniziare) e iniziava a chiamare in ordine inverso per correggerli uno per uno. Dovevi presentarti alla cattedra con le due squadre, che lui controllava sempre se tutte le linee erano parallele. Dava il voto in centesimi, togliendo cinque punti per ogni cosa che era sbagliata (o che gli faceva schifo). Io prendevo sempre 90 o 95 per via della scrittura. Ci mettevo quasi più tempo a scrivere titolo, nome, cognome e data in carattere forma, sforzandomi di dare alle lettere la forma migliore, di fare il 2 con quella graziosa curva (e non farlo sembrare un ferro da stiro) che a fare tutto il disegno. E ancora, dopo aver scritto righe intere di A e B e tutte le altre lettere per esercitarmi, come alle elementari, ogni volta che il prof correggeva il mio disegno l’unica cosa che diceva era “cinque punti in meno per il carattere forma”. Tua madre. Certo, moltissimi dei miei compagni erano capaci di prendere voti tipo 25/100, il che significa che i loro disegni erano poco più che un ammasso casuale di linee (e nemmeno parallele tra loro, probabilmente).

Comunque, tutto questo per dirvi che oggi ho avuto un dialogo come quello che vi riporto con il mio bambino attuale. Da farmi drizzare i capelli.
kat: [leggendo dal diario] esercizio 2 e 3 pagina 6 e poi squadrare un foglio a quadretti. A quadretti?
F: eh, c’è scritto là.
kat: va bene. Sai squadrare un foglio?
F: credo di no.
kat: per fortuna io sì. Prendi il foglio e tira le diagonali.
F: le diagonali?
kat: [indicando gli angoli] da qua a qua, e anche dall’altra parte.
F: [con la squadra 30-60] non ci arriva.
kat: prendi la stecca da 50.
F: che stecca?
kat: non hai la stecca da 50? O da 60?
F: no. Il prof non ce l’ha fatta comprare.
kat: [con le orecchie che iniziano a fumarle] va bene, allora fai col lato lungo della squadra e speriamo che basti. A proposito, non si squadra con la HB, dov’è la matita da disegno tecnico?
F: quale?
kat: non so, io avevo una 2H. Non vi ha fatto comprare neanche quella?
F: sì, ci ha detto di prendere una 5H
kat: [pensando: perfetta per bucare il foglio] allora trovala.
F: [la cerca] non c’è.
kat: pazienza. Andiamo avanti con la HB, ma cerca di non calcare tanto. Fai la punta e tienila dritta. E adesso fai ‘ste diagonali.

Dopo mezzora abbiamo ottenuto la squadratura, orrenda, stretta (perché il compasso con la rotella non si apre fino al margine del foglio, e mi sa che dovrà comprarne un altro anche se non vuole) e talmente calcata che, se l’avessi appesa alla terrazza del secondo piano e poi fossi scesa in strada, sarei riuscita a vederla.
Mi cadono le braccia.

giovedì 3 ottobre 2013

Arachidi

Fa un freddo assurdo, oggi pomeriggio il termometro non è andato più su dei 12 gradi. In macchina ho perfino acceso il riscaldamento, anche se so che dopo un po' inizia a fare un odore strano che me fa venire in mente le arachidi (per i dialettofoni, "bagigi". Io non mi sognerei mai di chiamarli arachidi). Avete presente dire a mio padre "Pa', il caldo in macchina sa da bagigi?". Mi prende per cretina. Probabilmente lo sono. Dopotutto, la macchina precedente sapeva da una puzza bestiale, che io dopo tre secondi avevo già voglia di vomitare, quindi coi bagigi abbiamo fatto un passo avanti.

martedì 1 ottobre 2013

Ricordi di classe

Uno dei bambini che seguo è appena entrato in prima media, e la prof di italiano gli ha dato da fare per casa un tema sulla sua nuova classe (descrizione generale, descrizione di qualche compagno/evento simpatico). Trovo stupido fargli fare un tema del genere dopo una settimana di scuola, quando ancora non ricordi il nome di metà dei compagni, comunque gli ho fatto buttare giù una scaletta e spero che poi, a scriverlo, abbia fatto una cosa che sta in piedi. Io, l’altra notte, siccome non riuscivo a dormire, mi sono presa il quaderno e l’ho fatto anch’io il tema sulla mia (vecchia) classe, con l’intenzione di portarglielo come esempio di testo informale (nel senso, posso scrivere molto più altisonante di così, questo è poco più che stile blog). Però, siccome mi piaceva, ve lo posto anche qua. È senza conclusione, ma pazienza. Erano le due di notte.

Sono in quinta superiore. L’anno della maturità, l’anno del famigerato esame che ci cambierà la vita, l’anno in cui, da settembre a giugno, i prof non la smettono di ricordarti che è meglio studiare, che non è una passeggiata, che se non si prendono 10 punti per prova tanto vale non presentarsi neanche all’orale. Non credo sia un mio problema.
In classe siamo ventidue, schiacciati in un’aula che ci contiene a malapena, ammassati come i libri di tecnica turistica che lasciamo nell’armadietto. C’è un solo maschio, M, che è intelligente, nessuno lo nega, ma che usa il cervello principalmente per rompere le scatole. Se hai la disgrazia di essere in banco con lui, puoi aspettarti come minimo i margini dei tuoi libri scarabocchiati, o una gomma americana incollata al quaderno. O ai capelli. Forse è per questo che la sua compagna di banco, R, è una sostenitrice della settimana corta e il più delle volte il sabato non viene a scuola. Non che ci venga molto neanche gli altri giorni, a dire il vero. Di solito, per almeno tre giorni su sei, M è in banco da solo.
La mia compagna di banco, invece, si chiama V. Ha i capelli ricci e l’apparecchio con le placchette verdi fosforescenti, ma dice che tra poco lo toglie, e penso che sia vero perché i suoi denti mi sembrano dritti. Sono tre anni che mi sembrano dritti, a dire il vero, ma si vede che il dentista è di un altro parere. Io e lei siamo nel secondo banco, fila centrale. Davanti a noi, dritte in bocca ai prof, ci sono Secco&Umido. Le chiamiamo così perché hanno entrambe un giubbotto Moncler, di quelli che sembrano fatti di plastica, così E, che ce l’ha verde, la chiamiamo Secco (è il colore del bidone della differenziata) e invece G, che ce l’ha marrone, è Umido. Ovviamente loro non lo sanno, e noi ci guardiamo bene dal riferirglielo.
Ci sono molti soggetti bizzarri nella mia classe, e con bizzarri intendo qualcosa tipo “fuori di testa”. C’è per esempio A, che ha una madre prof di matematica e alterna momenti di lucidità da fare invidia ad Einstein con momenti di demenza totali, e quando va a prenderti il caffè chiede “quante zolle?”. Intende quanto zucchero, ma forse nessuno le ha mai insegnato che si dice “zollette”. Inoltre, alcuni giorni capita a scuola con una specie di chignon tutto spettinato, probabilmente fatto per strada, e la prof di italiano dice che sembra Memole. A volte, la chiama così anche quando non ce l’ha, e lei risponde lo stesso.
Poi c’è J, che, sebbene mangi di nascosto durante quasi tutte le lezioni, è magra come un grissino, probabilmente perché ogni pomeriggio ha gli allenamenti di pattinaggio, e sinceramente mi chiedo come fa a fare anche i compiti, visto che ci vogliono tre quarti d’ora di macchina e altrettanti al ritorno, per raggiungere la sua palestra. La prof di ginnastica, che di solito apprezza e dà anche un voto in più a fine anno a chi fa un’attività sportiva fuori dalla scuola, invece di complimentarsi con lei, si arrabbia da matti, perché, in qualsiasi sport che non preveda dei pattini sotto ai piedi, è assolutamente impedita. Dopotutto, non possiamo essere tutti olimpionici, ma forse la prof non l’ha ancora capito. J dice che a lei non importa granché, perché tanto, dopo la quanta, farà l’allenatrice di pattinaggio.
C era la mia compagna di banco lo scorso anno. Pare che sia imparentata con V, ho sentito dire che sono cugine, ma non ne sono sicura. Però portano lo stesso cognome. A C piace il tedesco. Ha anche una specie di fidanzato segreto, o qualcosa del genere, e se solo sei disposto ad ascoltarla, te ne parla fino alla nausea.
L’altra mia ex compagna di banco è A. Anche sua madre insegna matematica, ma alle elementari. In ogni caso, sua figlia non è particolarmente portata per i numeri. Sta sempre attaccata alla sua migliore amica, che si chiama J (ebbene sì, anche lei, ma non è la stessa di prima), e alla loro spalla, che si chiama E. Le prof cercano sempre di cambiarle di banco, ma non hanno successo.