martedì 8 gennaio 2019

Sono nella merda e mi servono consigli

Forse quello che volevo veramente era dimostrare che riuscivo a cavarmela, e guardandomi allo specchio avrei visto qualcuno che valeva.
Ma mi sbagliavo, io non vedo niente.

Ciao, mi chiamo kat, ho 29 anni 2 mesi e 24 giorni e non sono felice.
Certo immagino che in giro per il mondo ci sia un sacco di gente che non è felice, probabilmente è addirittura la maggioranza, ma io sono una stronza egoista e ora voglio pensare a me.
Non sono felice perché non so cosa fare della mia vita. Ho un lavoro che mi serve ma che detesto e che ogni giorno penso più o meno seriamente di lasciare. Ho un lavoro che mi serve ma che contribuisce in gran parte al mio umore nero, al mio precario stato di salute mentale e che mi provoca crisi di ansia con cadenza quasi giornaliera al solo pensiero di doverci andare. Certo immagino che quasi nessuno vada al lavoro tutto felice e contento, ma un conto è essere un po’ seccati e un conto è cercare non so dove la forza di strisciare alla macchina e guidare e una volta arrivata la forza di scendere ed entrare, e non girarmi davanti alla porta dell’armadietto e tornare da dove sono venuta.
 Voglio dire, quando lavoravo all’asilo non è che facessi i salti di gioia all’idea di andare e sì, odiavo quell’ora e mezza in cui dovevo stare a sorvegliare i nani mentre dormivano, ma tutto sommato sapevo che avevo il tempo per fare le mie cose, che avevo gli ordini sulla scrivania sotto forma di post-it, che potevo fare le cose nell’ordine che mi pareva, che potevo distrarmi a chiacchierare un po’ con la cuoca quando preparavamo la sala mensa, che nessuna delle maestre si sarebbe mai azzardata ad arrabbiarsi con me, perché dopotutto facevo quello che dovevo (e a volte pure di più).
Il lavoro di adesso lo odio. Non trovo una parola migliore. Odio il lavoro, odio il negozio, odio l’orario, odio aprire la porta e sentire l’odore di pizza e di fritto che aleggia anche nello spogliatoio, che mi investe appena entro, odio il congelatore che scricchiola ogni volta che lo apro, odio i cartoni della pizza che perdono un miliardo di pelucchi di cartone tipo nevicata, odio l’affettatrice che è sempre incrostata di prosciutto anche se la pulisco per mezzora, odio l’olio della friggitrice che si spande ovunque, odio le patatine, odio la pizza, odio la farina che per quanto spazzi continua a restare per terra e a farti scivolare, odio le pile di roba da lavare, odio la puzza di cibo che mi porto dietro giorno dopo giorno, non importa quanto mi lavo, ce l’ho addosso lo stesso, odio il capo che si arrabbia per niente e tira merda a destra e a manca, ma soprattutto odio i clienti. Li detesto. Quelli che vedo sempre, quelli che vedo una volta ogni tanto, quelli che entrano per la prima volta. Quelli di cui riconosco la voce al telefono, quelli che non so chi siano, quelli che manco si presentano. Quelli che ordinano una pizza tanto quanto quelli che ne ordinano dodici. Odio perfino quelli che passano davanti alla porta e prego in silenzio che non entrino. Non so se capite a che livello sono arrivata. Li odio e il più delle volte non so neanche come gestirli, specialmente quelli che mi entrano e ordinano la pizza sul momento. Non so cosa dirgli, non so cosa fargli, non so niente. Ogni tanto mi grippa il cervello e allora so che sarà merda a palate, anche se ultimamente il capo si sta un po’ tenendo (ma non so per quanto durerà). Il capo continua a dirmi di sorridere, cose così, dice che non sono a un funerale, ma si sbaglia, io sono a un funerale. Il mio, ogni benedetta sera che devo stare là. Non so cosa mi tiene dal mandare affanculo qualche cliente, così magari mi licenzia lui e via. Odio perfino il reminder automatico di maps che mi dice “x minuti per arrivare al lavoro, traffico scorrevole”. Devo trovare il modo di toglierlo.
Considero l’idea di licenziarmi circa cinquanta volte al giorno, considero come dire al capo che forse è meglio se inizia a guardarsi intorno per cercare un’altra persona perché non ho intenzione di fermarmi fino ad agosto, che prima di agosto potrei seriamente morire, potrei probabilmente impazzire, morire di asfissia perché l’ansia mi porta via l’aria e io non so come fare a respirare. Immaginatevi distesi a terra con un pianoforte appoggiato sopra di voi. Un pianoforte medio peserà sui duecento chili, chilo più chilo meno, e io ne peso 53, quindi fate voi i conti di quanto potrei resistere.
Allo stesso tempo so che licenziarmi è una pazzia, perché se davvero voglio andarmene da casa dei miei (sì, ovviamente sono ancora incastrata qua) devo avere un’entrata per pagare affitto e spese e tutto, e soprattutto perché ormai la gente non affitta a nessuno che non abbia in mano un contratto, preferibilmente indeterminato. Praticamente sono in una situazione paradossale per cui la banca mi tassa extra il conto corrente perché secondo loro sono ricca sfondata (secondo loro sopra i 5000 euro di deposito nel conto sei automaticamente Zio Paperone) e non posso farmene niente dei soldi perché sono troppo pochi (ovviamente) per comprarmi un posto dove andare e troppi per lasciarli là, e potrei pagarmi tranquillamente un anno di affitto (e più) anche da sola, ma nessuno mi darebbe niente perché senza un foglio di merda che certifica che entrano dei soldi è come se fossi una pezzente.
Tra l’altro, anche ponendo che io mi licenzi, non so dove andare a sbattere la testa per trovare dell’altro. Primo perche non so chi cerca cosa, quali ditte e quali figure, e secondo perché nemmeno io so cosa voglio fare, anche se l’importante sarebbe non avere a che fare con la gente, perché veramente non so più cosa inventarmi per gestirla. La gente non mi è mai piaciuta, ma ultimamente la detesto proprio. Mi fa proprio stare male. Fate conto che non esco di casa se non per andare al lavoro, a messa (sì, devo continuare ad andarci finché sto dai miei) e da Dav. Il resto del tempo lo passo a dormire (o a cercare di dormire) o seduta nella stanza della caldaia facendo finta di non esserci e angosciandomi pensando che tra x ore dovrò andare al lavoro. Se avessi un euro per ogni minuto di ansia, potrei pagarmi l’aiuto psicologico di cui ho evidentemente bisogno.
Ogni tanto (abbastanza spesso in realtà) penso che dovrei mollare tutto e andarmene a fare un'altra stagione, di nuovo a Jesolo, di nuovo noi due fuori dai piedi, e per un po’ l’idea sembra quasi buona, ma non lo è. Non lo è perché già l’idea di finire in un posto di merda mi preoccupa, e poi ci sarebbe la gente, e francamente sono anche stufa di lavorare di sera, di dover rientrare come un ninja mentre Dav dorme, di dovermene andare quando lui sta per rientrare. Vorrei che mangiassimo insieme almeno a cena, vorrei che ci alzassimo insieme (anche se lui a colazione è inavvicinabile), che partissimo alla stessa ora e che tornassimo più meno alla stessa ora, che potessimo avere del tempo per noi, ma finché uno lavora di giorno e l’altro di sera è impossibile. E credetemi, so che la famiglia del mulino bianco non esiste manco per il cavolo, che ce ne sarà forse una su un milione di famiglie, ma vorrei che fossimo una famiglia e non due persone che vivono nella stessa casa e che si vedono solo la notte. È per questo che devo andarmene, che devo trovare un lavoro di giorno, che devo trovare un posto dove possiamo stare insieme, un posto che sia casa. Non voglio finire come a casa mia che mio padre partiva molto presto la mattina perché aveva 45 minuti di strada per arrivare al lavoro, e tornava non prima delle sei e mezza della sera, e io e mia madre lo vedevamo in tutto tre ore alla sera, e non c’erano sabati che tenessero perché un po’ di ore di straordinario facevano comodo con una bambina. Non lo biasimo, ha fatto quello che doveva, ma non voglio che si ripeta questo copione. Non voglio che ci vediamo un paio d’ore. Non voglio che, se un giorno dovessimo avere dei bambini, ci vedano a rate anche loro.
Non so cosa inventarmi.
Qualsiasi consiglio è benaccetto, l'importante è che siano cose sensate e fattibili, non del tipo “molla tutto e vai a fare un viaggio rigenerante in Thailandia”, anche perché sapete benissimo che non ci andrei in ogni caso, neanche se le cose andassero bene.