È assurdo come
le parole ti sfuggano nel momento in cui ti farebbero più comodo, specialmente
dopo aver passato quattro settimane a dire stupidaggini. Eppure ormai è una
tradizione che mi si secchi la lingua l'ultimo giorno, l'ultimo minuto di
centro estivo, che per dire "ciao" ai bambini mi devo sforzare, forse
solo perché neanche io voglio ammettere che è tutto finito di nuovo.
È una
tradizione che i bambini vengano lì ad abbracciarti, baciarti e a salutarti,
tranne Valerio che finisce sempre che lo devo baciare io.
È una
tradizione anche che poi io mi metta con carta e penna dopo la festa finale a
scrivere tutto quello che non sono riuscita a dire, anche se alla fine quest’anno
mi sono ritrovata a scrivere (e un po’ piangere) non dopo la festa ma questo
pomeriggio. Perché per quanto tra animatori ti dici che ti vedrai ancora, che
ti sei aggiunto su face, che mangerete la pizza una sera senza essere sudati
come dei caproni e seduti sul pavimento, tutto quello che è successo in quattro
settimane non lo puoi replicare e, per quanto deficiente tu sia diventato, poi
ti manca.
Ci sono cose che non si
possono comprare, che non si possono spiegare. Che i comuni mortali, i
non-animatori, neanche immaginano. Ci sono i balli e kat che si vergogna, che
balla meccanicamente, che se respira sbaglia il passo perché il cervello non
era abbastanza concentrato. Ci sono i balli e c’è la Vale che si inventa i
passi e tutto le viene bene. Ci sono i balli e Paolo che dopo quaranta volte
ancora non ha imparato una mano en mi cintura, ma che neanche ci poniamo
il problema di insegnarglielo.
Ci sono i lavoretti, e le
canne su cui sono appesi che poi, la sera della festa, pensano bene di
suicidarsi e di creare un tale groviglio che l’unica soluzione possibile pare
essere il bidone della spazzatura.
Ci sono i palloni sul
tetto e le bidelle che, quando vai a chiedere se puoi uscire dalla finestra per
prenderli, si tolgono le ciabatte per entrare in classe. Le stesse bidelle che,
quando se ne vanno alla fine del mese, chiudono a chiave la porta della loro
stanza, che se ti serve il ghiaccio devi andare a prenderlo a casa.
Ci sono le partite di
palla avvelenata, che non si capisce com’è possibile che non sappiano giocarci,
e che quando fai le squadre miste loro sono ancora più furbi e si mettono d’accordo
per essere tutti insieme.
Ci sono le gite e vedi mai
che contandoli al ritorno te ne manchi uno.
Ci sono le foto (Paolo,
pagami per averti prestato la reflex. Va bene anche in natura, come ha detto la
Gloria, ma preferirei denaro così mi compro qualche altro accessorio per la
macchina fotografica) e i telefonini, che non ci dovrebbero essere. Ci sono
quelli che ti chiedono “mi aggiungi su Facebook?” e poi scopri che non ci
entrano mai.
Ci sono gli amori a metà,
che poi arriva uno dell’altro gruppo e rovina tutto solo perché non sa tenere
la bocca chiusa.
Ci sono le torte e il pane
e Nutella, l’assessore e la Giò. Ci sono le vagonate di emme e gli elogi, gli
abbracci, i pianti e i pugni. Ci sono le lettere degli ammiratori segreti e le
veline. Ci sono quelli che ti si attaccano la mattina al braccio e non li
scolli manco con diluente.
E poi ci siamo noi
animatori, che alla fine siamo quelli che ci divertiamo più di tutti, anche se
la voce se ne va sempre troppo presto, e se il rischio dell’anarchia certi
giorni è sempre più alto.
E
ragazzi, chi se ne frega se sono scema e sdolcinata, ma è che per me questo mese siete stati come un gruppo di fratelli e sorelle che non ho mai
avuto, e forse è principalmente per questo che, se penso che lunedì mattina la
sveglia non suonerà più alle sette, mi viene un po’ da piangere.
Grazie.
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