martedì 1 ottobre 2013

Ricordi di classe

Uno dei bambini che seguo è appena entrato in prima media, e la prof di italiano gli ha dato da fare per casa un tema sulla sua nuova classe (descrizione generale, descrizione di qualche compagno/evento simpatico). Trovo stupido fargli fare un tema del genere dopo una settimana di scuola, quando ancora non ricordi il nome di metà dei compagni, comunque gli ho fatto buttare giù una scaletta e spero che poi, a scriverlo, abbia fatto una cosa che sta in piedi. Io, l’altra notte, siccome non riuscivo a dormire, mi sono presa il quaderno e l’ho fatto anch’io il tema sulla mia (vecchia) classe, con l’intenzione di portarglielo come esempio di testo informale (nel senso, posso scrivere molto più altisonante di così, questo è poco più che stile blog). Però, siccome mi piaceva, ve lo posto anche qua. È senza conclusione, ma pazienza. Erano le due di notte.

Sono in quinta superiore. L’anno della maturità, l’anno del famigerato esame che ci cambierà la vita, l’anno in cui, da settembre a giugno, i prof non la smettono di ricordarti che è meglio studiare, che non è una passeggiata, che se non si prendono 10 punti per prova tanto vale non presentarsi neanche all’orale. Non credo sia un mio problema.
In classe siamo ventidue, schiacciati in un’aula che ci contiene a malapena, ammassati come i libri di tecnica turistica che lasciamo nell’armadietto. C’è un solo maschio, M, che è intelligente, nessuno lo nega, ma che usa il cervello principalmente per rompere le scatole. Se hai la disgrazia di essere in banco con lui, puoi aspettarti come minimo i margini dei tuoi libri scarabocchiati, o una gomma americana incollata al quaderno. O ai capelli. Forse è per questo che la sua compagna di banco, R, è una sostenitrice della settimana corta e il più delle volte il sabato non viene a scuola. Non che ci venga molto neanche gli altri giorni, a dire il vero. Di solito, per almeno tre giorni su sei, M è in banco da solo.
La mia compagna di banco, invece, si chiama V. Ha i capelli ricci e l’apparecchio con le placchette verdi fosforescenti, ma dice che tra poco lo toglie, e penso che sia vero perché i suoi denti mi sembrano dritti. Sono tre anni che mi sembrano dritti, a dire il vero, ma si vede che il dentista è di un altro parere. Io e lei siamo nel secondo banco, fila centrale. Davanti a noi, dritte in bocca ai prof, ci sono Secco&Umido. Le chiamiamo così perché hanno entrambe un giubbotto Moncler, di quelli che sembrano fatti di plastica, così E, che ce l’ha verde, la chiamiamo Secco (è il colore del bidone della differenziata) e invece G, che ce l’ha marrone, è Umido. Ovviamente loro non lo sanno, e noi ci guardiamo bene dal riferirglielo.
Ci sono molti soggetti bizzarri nella mia classe, e con bizzarri intendo qualcosa tipo “fuori di testa”. C’è per esempio A, che ha una madre prof di matematica e alterna momenti di lucidità da fare invidia ad Einstein con momenti di demenza totali, e quando va a prenderti il caffè chiede “quante zolle?”. Intende quanto zucchero, ma forse nessuno le ha mai insegnato che si dice “zollette”. Inoltre, alcuni giorni capita a scuola con una specie di chignon tutto spettinato, probabilmente fatto per strada, e la prof di italiano dice che sembra Memole. A volte, la chiama così anche quando non ce l’ha, e lei risponde lo stesso.
Poi c’è J, che, sebbene mangi di nascosto durante quasi tutte le lezioni, è magra come un grissino, probabilmente perché ogni pomeriggio ha gli allenamenti di pattinaggio, e sinceramente mi chiedo come fa a fare anche i compiti, visto che ci vogliono tre quarti d’ora di macchina e altrettanti al ritorno, per raggiungere la sua palestra. La prof di ginnastica, che di solito apprezza e dà anche un voto in più a fine anno a chi fa un’attività sportiva fuori dalla scuola, invece di complimentarsi con lei, si arrabbia da matti, perché, in qualsiasi sport che non preveda dei pattini sotto ai piedi, è assolutamente impedita. Dopotutto, non possiamo essere tutti olimpionici, ma forse la prof non l’ha ancora capito. J dice che a lei non importa granché, perché tanto, dopo la quanta, farà l’allenatrice di pattinaggio.
C era la mia compagna di banco lo scorso anno. Pare che sia imparentata con V, ho sentito dire che sono cugine, ma non ne sono sicura. Però portano lo stesso cognome. A C piace il tedesco. Ha anche una specie di fidanzato segreto, o qualcosa del genere, e se solo sei disposto ad ascoltarla, te ne parla fino alla nausea.
L’altra mia ex compagna di banco è A. Anche sua madre insegna matematica, ma alle elementari. In ogni caso, sua figlia non è particolarmente portata per i numeri. Sta sempre attaccata alla sua migliore amica, che si chiama J (ebbene sì, anche lei, ma non è la stessa di prima), e alla loro spalla, che si chiama E. Le prof cercano sempre di cambiarle di banco, ma non hanno successo.

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