martedì 14 giugno 2011

Recensioni: Una bambina

Oggi pomeriggio, mentre ero a casa di mio zio a fare un bel rogo di bruchi americani, mi sono pestata un dito. Probabilmente perché stavo dormicchiando. Probabilmente perché stanotte sono stata sveglia fino alle due e mezza per finire di leggere Una bambina (One Child) di Torey L. Hayden. Sì, lo so che non devo fare così tardi, ma dovevo sapere come finiva.
L'ho preso perché ieri pomeriggio in biblio stavo sistemando i libri della narrativa america (un lavoraccio, specialmente perché non abbiamo abbastanza spazio negli scaffali, e non abbiamo neanche spazio per nuovi scaffali) e sono arrivata alla H e la zia Torey ha scritto una valanga di libri e la Giò li ha comprati tutti, così mi è venuto in mente che sull'antologia delle medie c'era un pezzo di un suo libro. Ho pensato che poteva piacermi e l'ho preso.
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
Diversamente da quanto avevo pensato alle medie, è una biografia scritta esattamente così com'è successa. Nel senso, anche i nomi sono rimasti gli stessi.
Torey Hayden è una maestra che insegna in una classe speciale, sarebbe a dire in una classe di otto bambini con problemi psichici e cose del genere, c'è chi ha provato a suicidarsi, chi è autistico e non parla, chi ha paura del buio e della polvere, c'è chi è schizofrenico e ha le visioni. Un giorno, il preside tenta di assegnarle una nona bambina di cui tutti hanno paura perché ha dato fuoco a un bambino di tre anni. Inizialmente Torey non sa come fare, sopratutto perché otto è il numero massimo di bambini che per legge possono esserci nella sua classe, ma poi la accetta. Il primo giorno Sheila ne combina di tutti i colori, ma poi giorno dopo giorno, riesce ad ambientarsi e a tranquillizzarsi, e a diventare un po' più "normale".
Torey Hayden è la maestra dei matti, cosa che pensano un po' tutti, probabilmente anche la gran parte di quelli che leggono i suoi libri, ma molto probabilmente è meno matta di tutti noi messi insieme.
Personalmente avrei preso Sheila a schiaffoni tutte le volte che voleva avere ragione lei, ma evidentemente non sarebbe servito a niente lo stesso. Dopotutto io non sono una maestra e non ho neanche metà della pazienza che servirebbe per sopportare dei bambini normali, senza intenzioni suicide o attacchi di strilli. E anzi, il fatto che Sheila fosse così intelligente mi da ancora più fastidio, perché si presume che una bambina con un QI che fa saltare tutti i test dovrebbe capire che non ha senso comportarsi così. Ma forse sono io che considero le cose dalla prospettiva sbagliata, infatti quando Sheila si da una regolata e non deve più essere messa in ospedale allora sono andata avanti a leggere come se mi si potesse bruciare il libro se non finivo.
Chissà dov'è Sheila adesso e come sta.

2 commenti:

  1. Mi sa che è bello questo libro, però personalmente ho i brividi solo a pensarci di fare quel lavoro lì (a fare la maestra, figurarsi a farla di bambini poco stabili).
    Comunque un QI alto non significa necessariamente sapere ciò che è meglio.

    ps. non sarebbe male un grigio che faccia un po' più contrasto, che mi acceco con questo al momento :/

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  2. sono una maestra. Ti posso assicurare che di bambini come Sheila ce ne sono anche qui in Italia (sempre più spesso), ma non esistendo classi speciali vengono inseriti insieme a tutti gli altri e non hanno nemmeno diritto a un insegnante di sostegno, proprio perché dotati di intelligenza e abilità non al di sotto della media (anzi!). La difficoltà è proprio gestirli in classi di 25 bambini, e gestire gli altri 24 nei momenti di crisi (e di solito tra quei 24 ci sono anche disabili non sempre coperti dal sostegno e altri con problemi emotivi, familiari e/o psicologici più o meno gravi). Magari avessimo il supporto di assistenti come Anton e Whitney!
    Gli schiaffoni, non solo non risolvono nulla per un bambino del genere, ma peggiorano il rapporto che puoi instaurare con lui o lei. NOn è facile, ma nemmeno impossibile: bisogna cercare di mettersi nei loro panni e pensare che sono comunque dei bambini, e tu sei l'adulto, anche se tutti gli adulti della loro vita (proprio quelli che dovevano proteggerli e amarli) li hanno traditi, feriti, umiliati... e loro non sanno come sia vivere un'infanzia 'normale'! Quei bambini sono dei sopravvissuti, e come tali vanno rispettati, ascoltati, riconosciuti, compresi (se ne siamo capaci).

    ps (deformazione professionale): quando 'da' è verbo e non preposizione si scrive con l'accento, dà (es: mi dà fastidio)

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