mercoledì 12 gennaio 2011

I won't listen anyway.

Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose
si fa un po’ meno presto a convincersi che sia così
io non so se è proprio amore
faccio ancora confusione.

Lo scemo ha avuto il fatto suo e Marco mi vuole bene, eppure non sono contenta. A parte il fatto che devo studiare e che mi urterebbe da matti dover rifare tutto, mi sento oppressa. I miei mi tendono che non mi tendevano così neanche quando mi vedevo di straforo con lo scemo. Forse perché non lo sapevano. E comunque, il fatto che stia mezze ore a spettegolare con Marco non dovrebbe urtarli. Voglio dire, non faccio niente di male, a meno che anche parlare non rientri di colpo nella lista delle cose proibite. Che poi, diciamocela tutta, proibire qualcosa è il miglior modo per accertarsi che venga fatta.
E il fatto che a loro non stia bene che io faccia amicizia con certe persone, non è un loro problema, perché fino a prova contraria devo starci bene io e non loro.
Cinque anni fa, facevo un gioco. Io ancora scrivevo sul bloc notes, cose corte ma più intelligenti di quelle che scrivevano tanti idioti della mia età. Un giorno, cercavo un aggettivo per me. Uno solo, non una sequenza. Uno, da scegliere con cura.
Direi “sfuggente”…come il sapone bagnato che scivola dalle mani. Io sono come un ombrello, le parole sembrano scivolarmi addosso come gocce di pioggia e a malapena sfiorarmi senza che neanche me ne accorga. Sembra che io viva in una specie di bolla trasparente, che mi rinchiude e mi rende intoccabile dal mondo esterno. Invece no, è solo una specie di maschera e fa stare ancora più male di quanto si potrebbe pensare.
Era ottobre del 2005. Stavo ancora lottando per dimenticarmi un certo ragazzo, e ci ho messo un sacco di tempo. Ero ancora la kat-di-prima. Prima della patente, diremo. Anche se la patente in sé non c’entra praticamente niente. La kat-di-prima era timida, non guardava in faccia la gente, stava rinchiusa nel suo bunkero, andava in biblio a lavorare, sì, ma prima faceva quello che c’era da fare, stava zitta, si relegava nell’ultima stanza e non badava nessuno, testa bassa e piedi strascicati. La kat-di-prima era sfuggente. La kat-di-prima non si sarebbe mai sognata di salutare i suoi amici con un bacio, perché non lo faceva nemmeno con sua madre. La kat-di-prima, a dire il vero, non si sarebbe nemmeno sognata di rischiare per fare ciò che le era stato espressamente proibito. Ma adesso le cose sono cambiate. Se chiudiamo la biblio alle sei e mezza e alle sette e venti non sono ancora tornata a casa quando ho duecento metri di strada da fare, non mi hanno rapita. Sono semplicemente fuori che mi perdo in chiacchiere. E i miei possono dire tutto quello che vogliono, non m’interessa.

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