Can we pretend that airplanes
in the night sky
are like shooting stars?
I could really use a wish right now.
Mi sento uno straccio, come se al posto dello spazzolone e dello straccio, avessi tirato me sul pavimento. Mi sento di merda come se fosse colpa mia. Mi sento come quando il ragazzo ti lascia, dicendoti anche che ha già messo gli occhi su un’altra e che non vede l’ora di provarci con lei, ma prima deve sbarazzarsi di te. E quando mi sento così non c’è niente che mi faccia venire voglia di tirarmi su, neanche leggere. Non ho voglia di leggere. Non ho voglia di cantare, anche se sto cercando di invogliarmi tenendo la musica (ma per il momento non funziona). Sono nella fase “è proprio nera”, come mi disse una volta lo scemo, afferrando il concetto.
Il fatto è che al kemma è in corso la rivoluzione, e noi siamo intenzionati a non farci rivoluzionare. Prima di tutto, perché io non sono la serva di nessuno, e non esco il sabato pomeriggio per mettermi a pulire i locali del comune che qualcun altro è pagato per pulire (e non lo fa, tra l’altro). E soprattutto, non intendo mettermi a pulire perché quella vacca della nuova animatrice ha deciso che è spazzo e che bisogna pulirlo noi. È che, cosa vuoi, mica puoi dirgli di no. Mica puoi dirgli in faccia che è da mesi che ti sta sulle palle e che non le hai mai rinfacciato tutta la merda che ti ha tirato durante l’estate solo perché lei era il tuo capo e per i soldi si fa qualsiasi cosa. Voglio dire, urlare in faccia al tuo capo che è una testa di cazzo o qualcosa del genere nel bel mezzo del lavoro (e dei bambini) non è che sia il massimo dell’intelligenza. Infatti, non l’ho fatto. E Dio solo sa quanta forza di volontà mi ci è voluta. E oggi, andare lì e sapere che il kemma non sarebbe mai più stato lo stesso, saperlo prima di partire da casa ma andare lì presto, solo per fare un favore a Marco, solo per vedere poi la Bomboniera che gli faceva le fusa e se lo manipolava, è stata una delle cose peggiori della mia vita. Ogni volta che passavo per la biblio, avevo il muso sempre più lungo. Maniche tirate su, guanti di lattice, trascinando tutto il catafalco col secchio e i detersivi e il rotolone di carta con la nuvoletta nera che mi usciva dalla testa. Perché alla fine avresti voglia di ribellarti, di andare via e tutto, ma mentre vedi che quell’idiota di tuo fratello, che i tuoi amici, hanno abboccato all’amo (a mio fratello basta parlargli di fotografia, quindi è molto facile), finisce che resti lì perché vorresti salvarli, portarli via con te dalle sue grinfie. E cerchi di trovare il lato positivo che vedono loro, ma non ce la fai, perché dopo venti lunghi giorni a lavorare sotto di lei, vedi solo le cose negative. Vedi che ti smerda anche se non lavori per lei. Vedi che sarà anche psicologa ma secondo me non è in grado di trattare con noi. Se ai piccoli piace sentirsi dare ordini, a me no. E se questo significa che devo mollare, mollerò. C’è sempre il mio amico computer, a casa.
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