Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose
si fa un po’ meno presto a convincersi che sia così
io non so se è proprio amore
faccio ancora confusione.
Lo scemo ha avuto il fatto suo e Marco mi vuole bene, eppure non sono contenta. A parte il fatto che devo studiare e che mi urterebbe da matti dover rifare tutto, mi sento oppressa. I miei mi tendono che non mi tendevano così neanche quando mi vedevo di straforo con lo scemo. Forse perché non lo sapevano. E comunque, il fatto che stia mezze ore a spettegolare con Marco non dovrebbe urtarli. Voglio dire, non faccio niente di male, a meno che anche parlare non rientri di colpo nella lista delle cose proibite. Che poi, diciamocela tutta, proibire qualcosa è il miglior modo per accertarsi che venga fatta.
E il fatto che a loro non stia bene che io faccia amicizia con certe persone, non è un loro problema, perché fino a prova contraria devo starci bene io e non loro.
Cinque anni fa, facevo un gioco. Io ancora scrivevo sul bloc notes, cose corte ma più intelligenti di quelle che scrivevano tanti idioti della mia età. Un giorno, cercavo un aggettivo per me. Uno solo, non una sequenza. Uno, da scegliere con cura.
Direi “sfuggente”…come il sapone bagnato che scivola dalle mani. Io sono come un ombrello, le parole sembrano scivolarmi addosso come gocce di pioggia e a malapena sfiorarmi senza che neanche me ne accorga. Sembra che io viva in una specie di bolla trasparente, che mi rinchiude e mi rende intoccabile dal mondo esterno. Invece no, è solo una specie di maschera e fa stare ancora più male di quanto si potrebbe pensare.
Era ottobre del 2005. Stavo ancora lottando per dimenticarmi un certo ragazzo, e ci ho messo un sacco di tempo. Ero ancora la kat-di-prima. Prima della patente, diremo. Anche se la patente in sé non c’entra praticamente niente. La kat-di-prima era timida, non guardava in faccia la gente, stava rinchiusa nel suo bunkero, andava in biblio a lavorare, sì, ma prima faceva quello che c’era da fare, stava zitta, si relegava nell’ultima stanza e non badava nessuno, testa bassa e piedi strascicati. La kat-di-prima era sfuggente. La kat-di-prima non si sarebbe mai sognata di salutare i suoi amici con un bacio, perché non lo faceva nemmeno con sua madre. La kat-di-prima, a dire il vero, non si sarebbe nemmeno sognata di rischiare per fare ciò che le era stato espressamente proibito. Ma adesso le cose sono cambiate. Se chiudiamo la biblio alle sei e mezza e alle sette e venti non sono ancora tornata a casa quando ho duecento metri di strada da fare, non mi hanno rapita. Sono semplicemente fuori che mi perdo in chiacchiere. E i miei possono dire tutto quello che vogliono, non m’interessa.
Sono cresciuta in compagnia di Harry Potter, letteralmente, da quando nel lontano 1999 mi è stato regalato (nell’ordine sbagliato) il secondo volume della serie, e quando man mano mi sono fatta regalare anche gli altri, fino al quinto. Ricordo che quello l’ho letto in cinque giorni, sotto natale, in montagna. Considerato che ha 800 pagine e che io avevo 14 anni, ero già abbastanza vorace.
Il sesto e il settimo non sono nella mia collezione, non mi guardano da sopra la scrivania mentre compongo quei pezzi di storie che mi passano per la testa, quelle improvvisazioni fantasy in cui la magia ha un ruolo che ho imparato leggendo la zia Rowling.
Perché volete mettere dei maghi che fanno le magie col pensiero e basta, con dei maghetti della tua stessa età che declamano formule, che sbagliano, che imparano col tempo? Dov’è finita la mia bacchetta? Accio! Volete mettere a giocare a fare i maghi? Non dico di correre nel bagno col troll, ma farsela sotto pensando che di poter vedere un basilisco girare l’angolo è stato il mio terrore per giorni, ogni volta che rileggevo della camera dei segreti.
E i libri di scuola…Creature fantastiche, dove trovarle e Il Quidditch attraverso i secoli li ho letti, sapete. Vorrei anche leggere Storia di Hogwarts ma Madama Pince mi informa che al momento non è disponibile. Non vi nascondo che pagherei per mettere le mani sul libro di pozioni del Principe Mezzosangue. Non tanto per le pozioni, credo, ma per gli incantesimi. Il levicorups farebbe molto comodo, e anche il secutmsempra potrebbe essere utile. Perché, sapete, Piton si ama incondizionatamente al capitolo 33 dell’ultimo libro, ma per tutto il resto della saga non vorresti altro che girare il sectumsempra addosso a lui (quando l’hai imparato). Ma secondo me il problema è che Piton non è che odiasse James e Harry. Oppure, diciamo che odiava Harry perché era come James, ma odiava James perché in verità amava Lily. Da sempre, e fino all’ultimo. È per quello che alla fine, pur avendolo odiato per oltre tremila pagine, un po’ ti dispiace.
Cmq ora, rileggendo questo ultimo libro a distanza di quasi tre anni dalla prima volta, ci sono parti che ho capito meglio. Non perché prima fossi una diciottenne cretina, ma perché ora posso sapere.
Ho perso il conto di tutti coloro che sono morti. Malocchio Moody per primo, poi Fred, Lupin, Tonks, Dobby, Colin Canon, troppi piccolo per combattere. E James, Lily, Sirius. Codaliscia, soffocato dalla sua stessa mano. Il fatto è che per me a 18 anni la morte era solo una parola, forse qualcosa con cui riempire il telegiornale. Ma adesso che so cosa significa il vuoto di qualcuno a cui volevi bene, adesso che non posso vedere un Thestral ma che ho abbastanza testa da inchinarmi davanti a un ippogrifo, mi sono fatta scendere una lacrima quando Harry ha usato la pietra della resurrezione. E non perché li rivuole con sé, ma perché sa che sta per morire. E in quel momento ti chiedi: siamo sicuri che sia un libro per ragazzi?
La cicatrice non gli faceva male da diciannove anni. Andava tutto bene.