lunedì 6 febbraio 2012

Recensioni: Una voce nella notte

Una voce nella notte (The night listener) è un libro di Armistead Maupin. Cercando la copertina su google ho scoperto che ci hanno anche tratto un film, ma non mi stupisco che mi sia sfuggito, perché io non vado matta per il cinema.
È strano, ma in genere i libri più belli che leggo sono quelli che ho scelto a istinto, presi su a caso guardando la copertina e cose del genere. Non sempre, ma gran parte delle volte.
Attenzione: anticipazioni sulla trama.
Se dovessi inquadrare l’argomento, credo che una parola non mi basterebbe. È un libro scritto da uno scrittore gay che si è creato un alter-ego protagonista scrittore gay, che un giorno riceve dal suo editore la bozza di un libro scritto da un ragazzino di tredici anni. All’inizio Gabriel lo butta nel cestino, ma poi ci ripensa e lo legge, e non riesce a staccarsene, fino a quando, alla fine, chiama l’editore e gli dice che non solo scriverà qualcosa per la bandella del libro (sapete, quella fascetta rompiscatole su cui gli scrittori “importanti” magnificano il libro per convincerti a comprarlo), ma anche vorrebbe conoscere il piccolo Pete. Il punto è che la storia di Pete non è per niente edificante, ha subito abusi e sevizie da parte dei suoi genitori dall’età di due anni, e quando finalmente è riuscito a scappare e a denunciarli ha scoperto di avere l’aids. È stato quindi affidato a una mamma adottiva chiamata Donna, che gli ha fatto scrivere il libro per cercare di aiutarlo a togliersi un peso, e che lo tiene il più possibile nascosto e al sicuro. Pete e Gabriel fanno delle lunghe chiacchierate al telefono, finché Gabriel non insiste per andare a trovare Pete di persona…

In genere non leggo libri che parlano di gay. Non ho niente contro i gay, sia chiaro, anche se tendo a considerarli il meno possibile, probabilmente per l’abitudine di trovarmi sempre circondata da persone che non lo sono. Quando andavo alle superiori conoscevo un paio di ragazzi gay, perché da quelle parti girava di tutto, ma tutti eravamo abbastanza convinti che non lo fossero davvero, che semplicemente non facessero altro che mettersi in mostra, che la sciarpetta rosa e la borsetta della mamma fossero solo per mettersi in cima a un piedistallo e fare in  modo che tutte le persone si girassero a guardarli. Non lo so, forse mi sbaglio, ma credo che io gay veri siano tutto tranne che esibizionisti del genere, o almeno mi sono fatta questa idea leggendo il libro. Voglio dire, Gabriel (e Jess e gli altri) mi sembravano assolutamente normali, vivevano una vita normale e tutto il resto (tralasciamo l’aids, che è un problema a parte, e poi non ce l’hanno solo loro). E forse "normali" non è la parola giusta. Voglio dire, è come se stessi dicendo che non dovrebbero sembrare normali, come se stessi dicendo che dovrebbero avere quattro braccia o le antenne o la coda come gli animali. Forse non è la parola giusta, anche se non me ne viene una migliore.
Probabilmente un libro così non fa pensare solo ai problemi di Pete e al fatto che vuoi sapere cosa succede poi, ma ti fa anche un po' pensare a quest'altra gente, che d'altronde non ha niente di anormale, come alcuni invece pensano.

3 commenti:

  1. Circondata da persone che non lo sono? E me dove mi metti!? :)

    Aggiunto il libro alla lista "da acquistare"... qui gioco in casa ^_^

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    1. intendevo che mi circonda "fisicamente", cioè la gente che vedo in faccia quando vado in biblio o in giro per il paese, ma evidentemente mi sono spiegata male. a parlare di questi argomenti mi spiego sempre male, scusa.

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    2. Ma no, non devi scusarti! La mia voleva essere una frase ironica ^_^
      Buona notte kat, vado a nanna... ormai è mezzanotte, sto crollando dal sonno xD

      Ciao ciao e grazie ancora per il consiglio di lettura su anobii -_^

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